Dialogare con i figli
Il marmocchio rientra da scuola, scende dal pulmino sudato fradicio, chiede di fare la doccia prima di mangiare.
Dopo un’ora deve ancora avvicinarsi al piatto, fa melina come sempre. Mi stressa, come sempre. Oh, sì. Lo so perfettamente, lo fanno tutti. Mica mi lamento, racconto e basta. A questo servono i blog, no?
E’ cresciuto di altri tre centimetri, a Roma fa ancora un caldo bestiale, ieri pomeriggio abbiamo dovuto rimandare la nostra caccia al tesoro per procurargli roba per coprirlo e calzarlo, anche le scarpe ormai non gli entrano più. Le stesse di due settimane fa, per intenderci.
Poscia accende la TV, è quasi ora di merenda. Si piazza finalmente con le gambe sotto al tavolino, accenna ad afferrare la forchetta. Gli dico di spegnere il televisore, è già tardissimo, dobbiamo uscire. Il perché lo sa già: soltanto due delle sue t-shirt riescono a coprirgli l’ombelico, entrambe da lavare, la lavatrice ha pensato bene di mollarmi due giorni prima della partenza per il Salento. Siamo rientrati domenica sera, il conseguente delirio neppure lo snocciolo perché sul mio blog non scrivo noir e/o scene splatter.
Il televisore resta acceso, lui mangia alla velocità di un boccone ogni tre minuti, mi metto per qualche secondo nella posizione Yoga dell’albero, ma niente: quella è roba che funziona in altre situazioni, quando gli uccellini cinguettano felici nel nulla e un venticello ristoratore ti scompiglia gentilmente i capelli mentre tutto attorno è gioia e letizia e profumo di incenso miracoloso.
Invece di argomentare, ribadire, spiegare, convincere, tuono una frase secca. Il registro è quello di Grimilde mentre rimescola testicoli di pipistrello nel pentolone letale, il tono è un filino più roco e terrificante:
– Hai cinque minuti per mangiare. Poi usciamo. –
– Eeeeeeee noooo, ma’! Ma perché? –
– PERCHE’. LO. DICO. IO. –
Tono identico a quello che usava mia madre. Senza se, senza ma, senza perché.
Il metodo Montebovi, quello che – almeno quella era la buona intenzione – mai e poi mai io, mamma moderna, avrei adottato con il frutto del mio ventre. Aspetto solo qualche anno per pronunciare, con attonita costernazione, amenità e grandi classici quali: “Questa casa non è un albergo/io ti ho fatto e io ti disfo/con tutti i sacrifici che abbiamo fatto per te, io e tuo padre!”.
Intanto, visto che precorro i tempi e ogni tanto mi tuffo nell’originalità, giorni fa mi è uscito un: “Due risparmiucci ce l’hai, ostello della gioventù, 18 euro al giorno, per un paio d’anni togliti dalle palle!”.
Superboy sbarra gli occhi, infila le scarpe mentre finisce di mangiare. Ci mette tre minuti, il tempo di scrivere questo post.
E su questo argomento non ho altro da dire ( Forrest Gump )
Noi andiamo. Ciaone.
Questo post partecipa al blogstorming generazioni
Non è l’adolescenza dei nostri figli che ci fa dire queste cose! Siamo noi ad essere possedute, possedute dallo spirito delle nostre madri che fa uscire dalla nostra bocca le stesse frasi che ci facevano tanto arrabbiare lustri or sono.
Forse che non avevano poi tutti i torti?
Ricordati “quando capirai che i tuoi genitori avevano ragione avrai un figlio che penserà che tu hai torto” (cit.)
E’ il mio mantra 🙂
Già. Io liquido la questione con un caustico: “Il DNA brucia come trielina su una ferita aperta”.
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