Il primo amore
Per te. Per sempre.
Il primo amore
Sentiva ancora addosso il profumo dell’infanzia mentre si preparava a diventare una donna. Il sole filtrava dalle tapparelle in sottili lame taglienti. Si voltò per non farsi ferire. La luce che la inseguiva testarda nella stanza riuscì ugualmente a raggiungerla, ma senza impallidire il buio che sentiva nell’anima.
Nei capelli le minuscole rose avorio risaltavano fra le ciocche brune. Si guardò allo specchio ed ebbe pena per loro: così recise, orfane della pianta che le aveva partorite, erano disperate almeno quanto lei. Il vestito candido ondeggiava leggero a ogni passo. Le era tanto piaciuto da non volerne provare altri, ma ora non lo sentiva più suo. Sembrava una di quelle bambine che a Carnevale provano un vecchio abito da sposa rimasto ad ammuffire in un baule per secoli. Ai lobi, gli orecchini che le aveva regalato lui: il suo primo amore. La scatolina blu che li custodiva gelosamente conservava il sapore dei giorni passati assieme. I tanti momenti della sua vita presero ad affollarle la mente rincorrendosi alla rinfusa, come episodi impazziti di un film sconclusionato. In ognuno di essi, per quanto si sforzasse di cancellarlo, c’era sempre lui.
La sua esistenza scorreva frenetica in quei pochi istanti, come succede a chi si trova a un passo dalla morte. «Forse sto morendo sul serio» si disse. Rivide tutte le giornate passate davanti alla televisione a ridere come pazzi, abbracciati sul divano come cuccioli infreddoliti in un inverno severo e interminabile. Un giorno qualunque il filo s’era spezzato. L’amore vero, quello adulto, l’aveva sorpresa priva di difese. Vide finalmente “l’altro” scivolare nel passato. Smise di adorarlo, ma non cessò di amarlo. Semplicemente iniziò a detestare quel suo modo ostinato di trattarla come una bambina. Lui, “l’adulto”, era come un immenso, scomodo pianeta. Era stanca di fare il satellite. Tutto quello che avevano condiviso fino a quel momento le sembrò improvvisamente vecchio e noioso. Si sentì come qualcuno che ha sostato per lungo tempo in una stanza con l’aria viziata. Poco le importava se fuori pioveva o faceva freddo, voleva solo riempirsi i polmoni di qualcosa che non fosse ancora quell’uomo.
Quando aprì la finestra, respirò profondamente un’aria nuova e fresca. S’illuse che lui l’avrebbe aspettata al caldo della stanza, ma rientrando trovò solo il vuoto. Fu penoso confessargli di essersi innamorata di ciò che c’era al di fuori di lui. Innamorata di un uomo, e non di una sicurezza. Disperatamente innamorata, questa volta sul serio. «Un giorno di questi io ti sposerò!» gli aveva detto tanto tempo prima. E invece quella mattina avrebbe sposato un altro.
Il bouquet era arrivato, gli invitati anche. Ma lui non c’era. Non era venuto, senza neanche preoccuparsi di avvisare. Un penoso vigliacco: ecco che cos’era, non poteva reggere il dolore di vederla vestita di bianco. Si sentì schiacciare dal suo egoismo. Avrebbe preferito vederla appassirgli accanto, piuttosto che saperla felice con un altro. Quel matrimonio l’avrebbe costretta a trasferirsi in una città distante anni luce dal suo cuore e lui non sopportava che l’altro gliela portasse via una seconda volta. S’illuse che sarebbero potuti rimanere amici, ma ora era sola, mentre lui avrebbe dovuto esserle accanto.
Non gli aveva creduto quando le aveva detto che non l’avrebbe mai perdonata, non volle ascoltarlo quando le sputò addosso tutto il suo rancore, quando gridò che non l’avrebbe mai più voluta vedere. Mai più.
Ingoiò la tristezza e indossò il velo. Era pronta a lasciarsi ogni amarezza alle spalle, ma il tremore che la scuoteva denunciava tutta la sua fragilità. Piangeva ora per quel suo primo amore ancora tanto vicino. Le mancava tutto di lui: l’abitudine di prepararle il caffè al mattino, i suoi capelli folti, il suo odore da adulto, persino quel suo chiamarla sempre “la mia bambina”.
Annusò il bouquet e chiuse gli occhi. Per un breve istante ebbe l’impressione di sentire la sua voce confusa fra il chiacchiericcio degli invitati. Il suo profumo sembrava tanto vicino da ferirle le narici ma quella sensazione, per quanto dolorosa, riuscì stranamente a calmarla. Un infinito istante dopo aprì gli occhi e lo vide. Nonostante l’età, era ancora più bello di quanto ricordasse. Teneva la testa da un lato per scrutarla meglio, come se la stesse fotografando per non perderne l’immagine. Aveva qualche ruga sottile e una frezza di capelli grigi in più. Sapeva che a causare quelle ferite era stata lei, e non il tempo che aggredisce anche i vecchi leoni. Lui taceva, tormentando i petali del fiore all’occhiello, e il suo silenzio custodiva discreto le frasi che avrebbe voluto dire. Con il tempo sarebbe guarito, forse, fino a perdonarla.
La guardava con uno sguardo incredibilmente simile al suo, con i suoi stessi occhi grigi, con quella bocca e quelle fossette che li rendevano praticamente identici. Avrebbe voluto stringerla a sé per l’ultima volta e soffocarla di baci e d’amore, ma si trattenne. Non sarebbe stato giusto… Le regalò uno dei suoi magici sorrisi: era lì, non l’aveva abbandonata. Lei lo prese sottobraccio.
«Vieni, papà» gli disse «tocca a noi.» Si guardarono e capirono che non si sarebbero mai lasciati. Mai più.
Copyright © 2013 Luana Troncanetti
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Sono in ufficio e trattengo le lacrime. E’ un brano bellissimo.
Ho avuto lo stesso primo amore, poi la vita nel centro e adesso il ritrovarsi di due vecchi amanti acciaccati ma felici di riconoscersi in un amore infinito.
Grazie per averlo detto così bene.
Grazie a te per esserti commossa. E’ un’ emozione, per un’autrice, impossibile da quantificare.
Fatico a comprendere da maschio… mi capirai.
Ma sai cosa intendo quando ti mando il mio abbraccio
Ti capisco, naturalmente. Però ti sfugge un particolare: tu hai una figlia femmina. Rileggilo la mattina in cui si sposerà/andrà a convivere con qualcuno, scommetti che ti passa ogni fatica di comprensione? 😀 Grazie per l’abbraccio, vecio.
Finalmente ritrovo il piacere di leggere, di leggere e provare i brividi ! Grazie Staccata !
Grazie infine a te, Silvio. Sono commossa, grazie.
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