L’estate del 2003
Sono tornata mezz’ora fa dal supermercato, ho avuto una garbata disquisizione con una signora che si è riempita la bocca col tormentone di questa estate: “Eeeeeeeeh! Sembra quella del 2003!”
Premesso che sì, fa caldino e che soffro mortalmente anche a 25 gradi perché sorretta da una pressione sanguigna che difficilmente supera i 60/100.
Premesso che in questi giorni si schiuma veramente, anche nel Nord Italia.
Premesso questo e molto altro, vi pongo una domanda: ma ve la ricordate sul serio l’estate del 2003, oppure amate ripetere a pappagallo le parole della cugina del nonno del cognato del meccanico che c’ha l’inciucio con la parrucchiera Stefania che è taaaaaaaaaaaaaaanto brava a fare lo shatush? O magari vi siete fatti suggestionare dalla TV, che su questa presunta analogia fra l’estate del 2003 e quella attuale ci sta giocando parecchio su?
I tempi non coincidono, signori miei. I tempi. Sul caldo bestiale non discuto, perché francamente non sono in grado di ricordare che temperatura abbia registrato la mia città il 16 luglio di 12 anni or sono, ma è la tempistica che non coincide.
Fu interminabile l’estate del 2003, iniziò che era appena primavera. Oggi si schiatta, non ditelo a me: io sono quella che infila il giacchetto solo a 12 gradi e toglie le calze a fine marzo. Oggi si schiatta, ma siamo a luglio. Luglio, signori miei.
Io ricordo perfettamente quando il caldo iniziò a incendiarci nel 2003. Me lo ricordo perché all’epoca lavoravo in un ufficio a Cinecittà, a pochi passi dal centro commerciale. In pausa pranzo, me ne stavo con i colleghi a smangiucchiare un panino in cortile, seduta sui muretti che circondavano le aiuole del piazzale. Al fresco, in genere, almeno così era stato fino al 2012.
Era il 1 maggio ( il primo maggio, già, per i turnisti le festività sono chimere ). Ricordo distintamente che eravamo già tutti in canottiera e che quel giorno (per non parlare di quelli a seguire ) fu impossibile starcene all’aperto. Saremmo morti tutti, come mosche.
Il 1 maggio, non so se mi spiego.
Le temperature roventi di questi giorni sono, per l’appunto, di questi giorni: luglio ormai inoltrato, fino a pochi giorni fa riuscivamo ancora a sopravvivere senza aria condizionata. E quella maledetta estate del 2003 si trascinò fino a ottobre, con un livello di afa che ti spezzava le gambe in due. Io oggi riesco a respirare. Con molta fatica, ma ce la faccio.
Sono andata a fare la spesa alle 11:30 del mattino, nel 2003 mi avrebbe messo pensiero persino uscire all’alba per comprare pane e latte.
Paragonare il 2015 al 2003 è come dire che Medioman ha gli stessi superpoteri di Batman, confondere un travaglio di tre giorni con un parto precipitoso di tre minuti.
Fa caldissimo, lo so. Però finché riesco a tornare viva a casa la sera, questa NON è l’estate del 2003.
Ndr: a Trento, lo evinco da Wikipedia dove potrete ripassare cosa furono davvero quei mesi infernali, l’11 agosto la temperatura raggiunse i 40,7 gradi. Trento, eh! Mica Pachino.
L’estate del 2003, è vero.
Tremenda.
Andavo all’università munita di talco mentolato, che spacciavo ai compagni per dare loro momentanea impressione di frescura.
L’estate in cui, penso proprio per il gran caldo, la mia nonna preferita ci ha lasciati. Non solo lei, però: cantavo nel coro della chiesa, allora. E’stata un’estate di funerali, quasi uno ogni settimana.
E di un matrimonio, non ricordo più se il primo maggio o il due giugno: ricordo la sposa, durante la cerimonia, vestito a maniche corte, con un alone di sudore sotto le ascelle che le arrivava alla vita.
Non so perché ma questo post mi ha messo addosso malinconia, una malinconia dolceamara che non so bene come interpretare.
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