Lucy in the sky with diamonds ovvero: come ti interesso il pupo alla preistoria
Faccio subito una premessa senza girarci troppo attorno: io mi ritengo un’autentica miracolata sulla questione “compiti”. Superboy è in terza elementare, frequenta il tempo pieno e non ha compiti infrasettimanali, solo per il week end. E pochi, vi assicuro che gliene assegnano una quantità che si evade al massimo con un’oretta di lavoro, ma proprio a esagerare di brutto. Ecco perché, una Domenica di qualche settimana fa, dopo mesi interi di capricci, ho letteralmente sbroccato di fronte a un Superboy in piena crisi da compiti a casa.
“Troppi! Me ne danno troppi! Mi massacranoooooo!”
E giù lacrime, strepiti, e pure qualche blanda parolaccia a mezza bocca.
“Ale, per cortesia, è una paginetta sola…”
“Non mi entra in testa, non sono capace, non me lo ricordo.”
“Ma gioia mia, a te piace tanto leggere e poi stai studiando storia. Tu adori la storia! Che ti prende?”
“E’…troppo… E’ che mi massacranoooooooo.” Con gli occhi bistrati, un filo di perle un tendaggio al quale aggrapparsi, per Francesca Bertini non ci sarebbe stata più storia…
“Ma che stai a dì, Alessà? (nelle situazioni critiche mi parte spesso l’embolo capitolino) Su, gioia, prova a ripetere ad alta voce che mamma ti ascolta.”
Di solito non lo faccio. Seguirlo nei compiti, intendo. Fin dalla prima elementare gli ho spiegato in modo fermo, ma con la massima dolcezza, che io e suo padre saremmo sempre stati pronti ad aiutarlo in caso di bisogno ma fare i compiti assieme o addirittura al suo posto no, era fuori discussione. Mi ha veramente detto bene, lo confesso. Non appartengo alla categoria di quelle mamme che “Ooooooooooh, ma quanto sono brava a far fare questo e quell’altro a mio figlio!”. No. Mi ha detto bene. Punto. Non mi assumo meriti che non mi appartengono così come cerco di convincermi che tutto sommato non ho colpa dei suoi demeriti.
Superboy adora studiare, non ha mai creato alcun tipo di difficoltà per fare i compiti. Così è sempre stato facilissimo per me mantenere il punto. Nessun trucco magico, siore e siori: il segreto per non rimanere invischiati nella pratica “devo fare i compiti con mio figlio” consiste nell’avere una creatura che li fa da solo senza fare storie. Quasi quasi lo brevetto, ma sai quanti spiccioli ci alzo?
Torno seria. Questo post, a dispetto del titolo, non svela come superare lo scoglio dei compiti a casa. Racconta invece di un minuscolo escamotage che ho architettato per affrontare una crisi che, prima o poi, sapevo sarebbe arrivata: i compiti non erano tanti, erano semplicemente diventati noiosi. Superboy, che colleziona riproduzioni di dinosauri fin da quando portava ancora il pannolino e si paralizza davanti a uno Speciale Superquark sulla preistoria, trovava difficoltoso imparare una lezioncina sugli australopitechi. Perché?
Perchè era alle prese, per la prima volta nella sua vita, con l’apprendimento di un metodo di studio. Dovevamo perciò trovare una soluzione, possibilmente insieme. A quel punto abbiamo iniziato a litigare furiosamente perché lui non accettava intromissioni da parte mia. Contestualmente, però, voleva il mio aiuto. Dopo un’altalena di tentativi di almeno un’oretta, ha dato di matto perché gli ho fatto notare che, a mio modestissimo parere, cadeva nel trabocchetto tipico di chi si approccia per la prima volta allo studio: ripetere a pappagallo. Ho provato a suggerirgli un metodo per sorvolare l’ostacolo, ma è stato un continuo alzare gli occhi al cielo neanche gli stessi proponendo di finire martire su una croce.
Si è inferocito e ha accartocciato una pagina del libro. A quel punto mi sono inferocita io. Dio solo sa cosa mi abbia trattenuta dal lanciargli contro il bicchiere che stavo asciugando in quel momento. Raccontata così la mia reazione potrebbe sembrare eccessiva, ma chiunque abbia dei figli in età scolare sa a quale punto di esasperazione ti portano quando, per studiare mezza paginetta, inscenano pièces teatrali degne di Rossano Brazzi .
Ho contato fino a 1.951 per sbollire la rabbia e mi sono resa conto che stavamo superando il limite, tutti e due. Gli ho detto di chiudere il libro. Gli ho chiesto di abbracciarmi, gli ho asciugato le lacrime mentre mi chiedeva scusa fino allo spasmo perché aveva sciupato la pagina. Gli ho chiesto quale fosse il problema e lui ha risposto che non lo sapeva. Allora ho fatto un bovinissimo ragionamento: perchè i documentari sono tanto affascinanti? Perchè c’è uno che ti spiega le cose e non devi fare fatica a leggerle sul libro? Certo, anche. Ma Superboy divora i libri, quindi il problema non poteva essere quello.
Il libro era noioso? Nì. E’ ovviamente pensato per i bambini: le illustrazioni sono accattivanti, però il testo tende ad essere un po’ troppo nozionistico. Qualche stimolo all’interdisciplinarità c’è: box colorati con approfondimenti, ma probabilmente a lui non bastavano. Allora, visto che doveva studiare il ritrovamento di Lucy nella Rift Valley, ho pensato di raccontargli un aneddoto. Per farlo ho scelto un sistema non convenzionale.
Abbiamo cercato il video di Lucy in the sky with diamonds su YouTube. Ha digitato lui la chiave di ricerca. Gli ho spiegato chi erano i Beatles e lui si è entusiasmato: “Forti, ammazza! Cantavano bene! Ma perché mi fai sentire questa canzone?”
“Allora, immagina quel gruppo di archeologi a lavoro sotto un sole assassino mentre chiacchierano fra di loro…”
“Pure gli archeologi chiacchierano?”
“Beh, direi di sì…”
“E andavano d’accordo?”
“Questo non posso saperlo, però erano una squadra. Per lavorare in squadra bisogna cercare di andare d’accordo… Allora, ti dicevo. Immaginali mentre chiacchierano e lavorano con la radio accesa.”
“La radio?”
“Già… e pensa tu, dopo tanto scavare, che gioia possono aver provato nel ritrovare i resti di Lucy.”
“Beh, certo. Se scavi, scavi, scavi e poi non esce niente poi ti passa pure la voglia.”
“E infatti, figlio bbello. Ora. Mentre emerge dal terreno il primo ossicino dell’australopiteco, la radio trasmette questa canzone dei Beatles che stai ascoltando. E’ per questo che, quando hanno poi scoperto che lo scheletro era di una donna, l’hanno chiamata “Lucy”.
“Naaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!”
“Sìììììììììììììììììììììììììì!”
Bingo! Superboy si è resettato e mi ha finalmente aperto uno spiraglio. Sono riuscita a riconquistare la sua fiducia. Non ero più l’adulta che voleva imporgli un metodo di studio, ma la mamma che da sempre gli racconta storie e favole. La storiellina (forse una leggenda metropolitana, non ricordo più neppure chi la raccontò a me) del battesimo di Lucy gli è piaciuta. Ha in qualche modo “umanizzato” gli archeologi (che chiacchierano e ascoltano la radio come tutti i comuni mortali, non sono supereroi che scovano scheletri come per magia, ma uomini che quelle ossa se le sudano tutte con il lavoro), gli ha fatto conoscere un gruppo musicale fiquissimo, gli ha insegnato qualche nuova parolina in inglese e soprattutto gli ha fatto capire che ogni storia può nasconderne un’altra. Questo la rende più interessante.
Poi gli ho suggerito un metodo di studio che con me ha sempre funzionato, precisandogli che se per lui non fosse andato bene poteva cambiarlo. Da allora, quando deve studiare, mi chiede di tanto in tanto di raccontargli qualcosa che lo faccia spaziare un po’ nella materia. Io mi diverto a farlo, lui è soddisfatto e per il momento viviamo felici e contenti in attesa della prossima crisi. Perchè arriverà, eccome. Troppe canzoni dovrebbero aver scritto i Beatles per risolvere certe sfide quotidiane.
Questo post partecipa al blogstorming di Genitori Crescono. Tema del mese: Sfide quotidiane e strategie di sopravvivenza.
La canzone è fantastica e il metodo anticrisi è favoloso. Meno male che esiste la musica, valà!
Presi dalla disperazione si diventa creativi 😉
Anche noi ci proviamo, purtroppo mia figlia vuole qualcuno accanto a lei altrimenti non riesce ad iniziare. Ma stiamo migliorando.
La crisi di questa settimana la stiamo avendo nell’imparare a memoria tutti i nomi degli affluenti del Po, tutti i nomi dei monti delle Alpi e le loro altezze… Programma di quarta… ancora hai tempo !
Per ora abbiamo disegnato un monte bianco, uno rosa uno a forma di cervo (Cervino) ed uno con nuvole e angeli (Gran Paradiso), ma e’ dura, tanto dura.
Come scrivi tu bisogna catturare la loro attenzione. Spaziare oltre le parole del libro, a volte troppo nozionistiche, senza interesse. Nn bisogna fare i compiti per loro ma fornigli gli strumenti adatti, disegni, canzoni, esperimenti diretti, etc, etc.
Deliziosa la tua soluzione per ricordare il nome dei monti 🙂 Questa me la segno, mi tornerà utile per il prossimo anno. Grazie per essere passata di qui Anna.
La storia di Lucy l’ha raccontata la maestra a mia figlia, terza elementare e mia figlia l’ha raccontata a me … che non la sapevo.
Certamente queste storielle aiutano a far interessare i bambini allo studio. E la terza mi sembra il momento cruciale per imparare un metodo di studio.
Quando mia figlia è in difficoltà, riassumiamo insieme la pagina da studiare con uno schema colorato composto da parole chiave, tipo mappa concettuale.
Ciao Pallottola, benvenuta da queste parti. La mappa concettuale è il sistema che utilizziamo anche noi. Sono riuscita a proporla a mio figlio proprio il pomeriggio protagonista di questo post. E’ stata dura, come hai letto, ma con un po’ di fantasia (e sopratuttto se i figli collaborano, possino benedilli) ci si riesce. Grazie per la visita!
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