Di pomodori ed esami di maturità
14 luglio 1989, la data del mio esame orale alla maturità, venticinque anni precisi precisi oggi.
Io, alunna non dico secchiona ma grossomodo brillante, ero fra più le capaci della classe. Io, teoricamente candidata al 60 (altri tempi, ricordiamocene, all’epoca era il massimo dei voti), all’orale ho fatto un macello.
Voti scritti di tutto rispetto: 9 alla traccia di italiano, 8 a quella di ragioneria.
Gli orali? 7 in scienza delle finanze, 6 e 1/2 in italiano. Italiano, la materia in cui ho sempre ottenuto il massimo dei voti, e questo non perché mi piacesse particolarmente scrivere. Io amavo leggere, prima di tutto, leggere e disegnare.
Quindici giorni prima dell’orale sono andata nel pallone, attacchi di panico, voglia di morire. Di morire, sì. Melodrammatico, lo so, ma questo mi è capitato. Non riuscivo più a chiudere occhio, mi aggiravo in mutande alle quattro di notte sul balcone farneticando che non ce l’avrei mai fatta, che non mi ricordavo nulla. E in efffetti, così è stato: all’orale ho reso il 20% delle mie possibilità.
Un esempio di quanto fossi andata fuori di cervello? Alla domanda “In quale genere collocherebbe i Promessi Sposi?” sono rimasta muta. Il commissario ha atteso pazientemente, poi mi ha imboccata dicendomi: “Signorina, si concentri. Non è difficile…E’ forse un romanzo giallo? Un rosa? Una soap opera?”.
“E’ un… un… un romanzo…storico” sono finalmente riuscita a balbettare io, neanche mi avessero chiesto la formula per scindere l’atomo a mani nude.
Ho chiesto e ottenuto che mi interrogassero a porte chiuse, sapevo già che agli orali avrei combinato un casino.
14 luglio 1989, la presa di coscienza di aver frequentato la scuola meno adatta a me mi ha spaventata a morte. Prenderne finalmente atto mi ha sconvolta: avevo frequentato per cinque anni studi che detestavo per compiacere i miei, perché non ho avuto il coraggio di impuntarmi. Le brave bambine non deludono mamma e papà. Le brave bambine fanno il loro dovere, sempre.
Io, da piccola, sognavo di colorare il mondo. Il liceo artistico o l’istituto d’arte, quelli sarebbero stati gli studi giusti per me. Sarebbero stati, e io questa cosa non l’ho mai digerita.
Sono uscita da quell’aula in lacrime, tremavo di rabbia. Se avessi dato un pugno al muro, forse sarei riuscita a oltrepassarlo. Ero incazzata nera, ma non per me. Non per me…
La mia professoressa d’italiano si è avvicinata. Era veneta, adesso ricordo solo il suo cognome. Mi ha tirata per un braccio, mi ha stretta forte al suo petto. Era alta, con i capelli a caschetto e gli occhiali. Era alta e severa. Faceva paura a molti, ma io l’ho sempre adorata e lei amava me.
“Troncanetti!” ha gridato forte “Piantala di piangere!”
“Ma io non piango per me. Io… non piango per me, prof. E’ per lei, le ho fatto fare una figura di…di merda”.
Merda. A diciannove anni non usavo certi termini, e neppure l’imperturbabile professoressa Padovan si era mai lasciata andare al turpiloquio.
“Figura di merda? Figura di merda, dici? A me non me ne frega niente se mi hai fatto fare una figura di merda con quei quattro stronzi!”
Sono rimasta a bocca aperta, ho smesso di piangere all’improvviso.
“A me non me ne frega niente… tu sei e rimarrai sempre la migliore allieva che io abbia mai avuto. Tu… tu sei speciale. Sei originale, tu. Tu vai oltre. Tu saresti capace di raccontare in modo splendido qualsiasi cosa, di scrivere su tutto. Persino… persino su un pomodoro. Tu non diresti mai che un pomodoro è rosso. Lo coloreresti di mille altre tinte, quelle che pochi riescono a vedere come fai tu”.
Vi racconto questo episodio non per vantarmi delle parole di una professoressa che leggeva colori nelle mie parole, il mio sogno bambino non è mai stato scrivere. Ve lo racconto perché è una delle cose più toccanti che mi siano mai capitate, qualcosa che ricordo ancora nitidamente a distanza di venticinque anni.
L’ho raccontata in fretta questa cosa, e male. L’ho raccontata in fretta, ma adesso non ho più paura dei voti. E’ esattamente quello che ha cercato di insegnarmi la Padovan quel giorno.
Ogni volta che ci penso, sorrido.
“Le brave bambine fanno il loro dovere sempre” :come si fa a insegnare a tua/o figlia/o a non farsi (troppo) del male e ad allontanarsi da questo stereotipo mentale che ha tirato su già le loro madri (che per ritrovare se stesse hanno poi dovuto fare un casino!)?
Cara Staccata leggendo questo post ho strabuzzato gli occhi. Anch’io ho fatto gli esami di maturità a luglio del 1989, anch’io volevo fare il liceo artistico e poi per fare contenti mamma e papà ho scelto un’altra scuola (il classico), anch’io alunna secchiona/brillante ho fatto una pessima figura all’orale di italiano, anche a me hanno chiesto Manzoni e i Promessi Sposi!!!! Io però ho fatto l’esame a porte aperte ed è venuto mio padre ad assistere per la prima volta all’exploit della sua bravissima e preparatissima bambina…volevo morire! Che incubo. Per fortuna ho rimosso, ma non tanto…saltuariamente mi capita di sognare di tornare al liceo, di essere interrogata in latino o greco e di non riuscire a ricordare nulla. Il greco e il latino li ho davvero rimossi dal mio cervello..dopo il classico mi sono laureata in chimica, faccio la ricercatrice e sogno ancora di fare la pittrice alla pensione 🙂
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